Interviste

Tra décollage e pittura

Dialogo con Mimmo Rotella e Paolo Leonardo
a cura di Alberto Fiz

Alberto Fiz:
Non amo fare generalizzazioni, ma solo confronti. M’interessa il fluire dei linguaggi e le loro modificazioni. Le ragioni di questa mostra, così come della chiacchierata a tre che stiamo per fare, nasce da un incontro casuale. Un incontro non premeditato, che trova, tuttavia, una giustificazione nel vostro lavoro. Per carità, qui non si parla di maestro e allievo, bensì di una sensibilità verso un modello artistico che trova una strada specifica partendo dagli stereotipi della società di massa. Il manifesto è il corpo dell’arte che viene modificato, la tela bianca su cui riscrivere la propria storia. Credo che proprio da qui sia necessario prendere le mosse, ovvero dal desiderio di fare proprio il messaggio della strada, elemento questo che vi accomuna. Partirei proprio da te, Mimmo, che hai spesso ricordato come fosti arrivato all’arte ripercorrendo tutte le esperienze della pittura. Tra le tue osservazioni, più volte hai sottolineato come, dopo la guerra, hai dipinto diversi quadri in stile figurativo, espressionista, surrealista e anche cubista, ma non eri mai soddisfatto. Sino a quando hai trovato il nuovo osservando le immagini che s’incontrano per la strada.


Mimmo Rotella: Si, ormai avevo studiato Kandinsky, Mondrian, Klee e quando sono tornato in Italia dagli Stati Uniti nel 1952 ero scoraggiato: tutto era stato fatto e mi appariva inutile continuare sulla strada della pittura. Così, avevo deciso di non dipingere più. Non trovavo alcun tipo d’ispirazione. Preferivo dedicarmi alla poesia fonetica. Un giorno del 1953, tuttavia, uscendo dal mio studio in Piazza del Popolo a Roma vidi, come se fosse la prima volta, i muri tappezzati dai manifesti che mi apparivano bellissimi. Gli strappi, le abrasioni e i colori sgargianti li caricavano di una forza che non rintracciavo nella pittura. E allora ho deciso d’impadronirmi di quel patrimonio e di notte scendevo in strada e strappavo i manifesti per poi nasconderli sotto il letto di casa mia. Il mio bottino non volevo nemmeno farlo vedere, sino a quando, una sera, venne da me il critico Emilio Villa che rimase estremamente colpito dal mio gesto. “Tu stai inventando un linguaggio nuovo che va al di là della pittura”, mi disse. “Con questo strappo inventi un nuovo spazio”. E decise d’invitarmi ad esporre insieme ad altri sei artisti romani sul Tevere presso le zattere del Circolo; una sorta di galleria galleggiante. La mostra venne vista da un corrispondente di ArtNews che mi definì neodadaista.


Fiz: Questa rievocazione dei tuoi esordi è assai significativa e dimostra l’aspetto dirompente che, intorno alla metà degli anni Cinquanta, il tuo gesto aveva assunto. Alla fine degli anni Novanta c’è un altro artista che torna sul luogo del delitto, ovvero Paolo Leonardo che, con un po’ di azzardo, rimette in gioco le problematiche legate al manifesto. Qual è la ragione di questa scelta?

Paolo Leonardo: Penso che voglia essere, in primo luogo, la riappropriazione visiva di immagini destinate alla rappresentazione del corpo. Anch’io, come faceva un tempo Rotella, prelevo il manifesto dalla strada, ma non certo per provocare o stupire. Sarei un ingenuo anche solo a pensarlo. Il mio scopo, piuttosto, è quello di recuperare intimamente un’immagine che ha una valenza globale, che rappresenta un codice generalmente accettato. Io parto dallo stereotipo per poi affrancarlo, facendo leva sulla pittura e sulla mia sensibilità. E’ quasi un gesto intimo che nasce dal desiderio di rubare dalla strada un’immagine per poi riformularla. Successivamente, tale immagine o viene decontestualizzata attraverso l’esposizione in una galleria, oppure viene riportata in strada dove si attua un forte scontro linguistico.


Fiz: La pittura, insomma è un antidoto e rappresenta un modo per ritornare a guardare la realtà secondo quanto aveva già suggerito Alberto Giacometti.


Leonardo: Questo bombardamento d’immagini, che prosegue sempre con maggior insistenza dagli anni Sessanta a oggi mi ha saturato. Ho la sensazione di non vedere più i corpi e i volti, se non dopo averli investiti con la pittura che diventa quasi una sorta di rito per purificare la visione. “La fotografia”, ha scritto Roland Barthes, “schiaccia con la sua tirannia le altre immagini: niente più stampe, niente pittura figurativa, se non ormai per affascinata (e affascinante) sottomissione al modello fotografica”. Ecco, io credo che la fotografia non restituisca più l’immagine della realtà e sia necessario trasformarla attraverso la pittura per avere coscienza della rappresentazione. M’interessa, in definitiva, riportare sul terreno pittorico l’immagine fotografica.


Fiz: Il nocciolo della questione è proprio questo: la strada, ovvero il manifesto, è solo il luogo di partenza per trasmettere messaggi profondamente diversi. Se per Leonardo la pittura è la reazione al sistema globalizzato, per Rotella il linguaggio di massa è la vera novità, in opposizione al passatismo della pittura. Proprio nell’artificio dei volti stampati o dalle relazioni dinamiche tra colori a tinte forti, è rintracciabile la modernità.

Rotella: Certamente, ma non dimentichiamo che sin dalla metà degli anni Cinquanta il mio gesto nascondeva anche una protesta contro il sistema tradizionale. “Se un’opera d’arte non provoca uno shock, non vale la pena realizzarla”, diceva Ìvfarcel Duchamp con un’affermazione che mi trova pienamente d’accordo. La mia, dunque, non era un’operazione di maquillage e lo “strappo” assumeva un aspetto metaforico, oltreché reale. Ritornando al discorso impostato da Paolo, vorrei ricordare che nel 1986 ho cominciato a dipingere sui manifesti strappati presentando, per la prima volta, questo mio lavoro alla galleria Niccoli di Parma. Lì, volevo dare un messaggio sul messaggio. Quelle opere le chiamavo sovrapitture e rappresentavano per me un modo di dimostrare che la pittura era cambiata. Volevo fare l’antipittura e, a questo proposito, mi torna in mente una frase di Francis Picabia che diceva “la brutta pittura, spesso, per ironia diventa bella”. Lui aveva fatto dei quadri terribili ma, paradossalmente, erano bellissimi. Picabia, del resto, è stato il modello dell’antipittura e della nuova sensibilità.

Fiz: Un effetto shock premeditato, oppure trovato quasi per caso?


Rotella: Inizialmente si trattò di un processo quasi incosciente ma, certo, sentivo la novità del linguaggio espressivo che mi aggrediva dalla strada. M’interessava la materia viva, i muri scrostati di Roma, quei colori ricchi di fascino. Inoltre, percepivo che il sistema di comunicazione della pubblicità rappresentava la vera novità linguistica.


Fiz: Per Paolo, invece, la novità sta nella pittura che si pone dichiaratamente in antitesi rispetto all’universo mediale. La pittura, insomma, rappresenta una forma di resistenza che traccia una nuova linea di demarcazione.


Leonardo: Desidero riappropriarmi dell’immagine sfidando le convenzioni sino a cambiare il segno del messaggio. La pittura ha un valore quasi fisico e serve a recuperare l’identità perduta. Ma su alcuni aspetti concordo con Rotella. Anche per me la pittura non è fine a se stessa, ma rappresenta un mezzo che deve, comunque, portare oltre.

Rotella: Il tuo, insomma, non è un readymade duchampiano ma un’immagine che nasce dalla manipolazione della pittura.

Leonardo: II mio scopo è quello di dare una visione dell’individuo partendo da qualcosa che è generalmente condiviso come la rappresentazione fotografica di corpi e volti inseriti nei manifesti pubblicitari.

Rotella: Tu parli di corpi e volti ma a me interessano molto anche le scritte. Quelle scritte che ci bombardano da ogni angolo della strada. Mi riferisco alle scritte dei ristoranti, dei cinema, dei night club. Credo che i caratteri della pubblicità oggi rivestano un’importanza spesso addirittura superiore all’immagine.

Fiz: Ma rispetto a quarant’anni fa com’è cambiato il tuo lavoro e come ti collochi oggi rispetto al messaggio pubblicitario.

Rotella: E’ la pubblicità che è cambiata. Oggi vedo immagini bellissime realizzate dagli stilisti di moda. Vedo gigantografie straordinarie appese per la strada realizzate con il computer. Ecco, questa è l’arte di oggi, in grado di esprimere l’aspetto edonistico della nostra società che punta all’azione più che alla contemplazione. Del resto, cinque anni fa, in occasione di una mostra a Parigi, ho presentato i manifesti nella loro integrità senza alcuna modifica e l’effetto fu sorprendente. Quelli sì che erano ready-made. Mi sono riappropriato di immagini che trovo ancora freschissime e le ho semplicemente decontestualizzate.

Leonardo: Ecco, a questo proposito ragioniamo in termini diversi. I manifesti esposti a Parigi potrebbero rappresentare la base della mia pittura. lo, proprio su quelle affiche interverrei modificandole.


Rotella: Beh, quando vuoi, facciamo un manifesto a quattro mani.

Fiz: Torniamo al tema della nostra conversazione. Da un lato siamo di fronte ad un’arte che identifica nella struttura linguistica proposta dai media il nuovo soggetto estetico; dall’altra si tenta d’individuare la ricerca di un nuovo messaggio attraverso ia ridefinizione della pittura. E’ curioso, ma chi credeva di trovare immediate analogie nei vostri lavori, dopo questa chiacchierata, si dovrà ricredere. Per certi versi, siete agli antipodi e proprio da questa contrapposizione dialettica nasce l’interesse della mostra. Da un lato il modello è Picabia; dall’altra è Giacometti. In mezzo il manifesto.

Rotella: Io sono meno romantico di Paolo.

Fiz: In che senso?

Rotella: Paolo fa delle opere esistenziali, più drammatiche rispetto al mio lavoro. Io, invece, sono sempre stato per la joie de vivre.

Fiz: Entrambi, tuttavia, avete sentito l’esigenza di rapportarvi alla pittura cercando un superamento delle forme tradizionali. Qualche mese fa proprio tu, Mimmo, hai fatto una mostra a Milano
nello spazio della Galleria Marconi dal titolo L’arte oggi dedicata alla reinterpretazione dei maestri classici, da Giorgio De Chirico a Pablo Picasso. Una reinterpretazione dove la pittura è utilizzata in chiave sottilmente ironica fondendosi con il décollage. Nel caso di Paolo, invece, l’operazione avviene su codici condivisi sino a sconvolgerli ed è proprio l’idea di creare delle differenze partendo da un unico prototipo ad identificare questo processo. Vorrei sapere proprio da Paolo cosa ne pensa.


Leonardo: Condivido la tua analisi. La pittura fine a se stessa, quella che, tanto per intenderci, nasce sulla tela, per quanto mi riguarda, non m’interessa…

Rotella: sono perfettamente d’accordo.

Leonardo: Ho trovato, invece, nella rappresentazione del corpo proposto dalla pubblicità un valore forte, addirittura iconico. Per questo intervenire sul Dna della matrice fotografica, mi permette di arricchirmi, consentendomi un discorso sul figurale che tende verso l’astrazione in un progressivo coinvolgimento di carattere emotivo a cui non è estraneo l’uso del monocromo. Il colore è qualcosa di puro in sé. Ma credo che le questioni relative alla disputa tra pittura e non pittura siano superate. La sensibilità è qualcosa d’impalpabile che s’infrange contro la materia. Ciò che importa è che la ricerca abbia una corrispondenza con il contesto contemporaneo. Per me, tornare alla rappresentazione dell’uomo partendo dall’immagine pubblicitaria, è un modo per ricontestualizzare la pittura in termini contemporanei. Il mio desiderio è quello di suggerire una visione dell’uomo nel Terzo Millennio partendo dai grandi modelli che hanno modificato la percezione come Giacometti o Bacon, ma anche Picasso, Fontana e Rotella.

Fiz: Anche a Mimmo interessava andare oltre la pittura.

Rotella: E’ stato il mio scopo da sempre. Il mio ultimo lavoro è composto esclusivamente da tagli minimali su carta da manifesti pubblicitari privi d’immagini che potrei intitolare La rinascita. Sono i manifesti che separano una campagna pubblicitaria da un’altra. Sono pause delle emozioni. Umori, più che rumori. Siamo nel regno dell’astrazione pura.


Fiz: Lo scorso anno, in occasione di una personale milanese dedicata a Paolo Leonardo, hai scritto che lui è “un seguace del messaggio rotelliano”. Alla luce della nostra chiacchierata e dell’evoluzione del suo lavoro, credi che sia ancora vero?

Rotella: Penso proprio di sì. Paolo utilizza il manifesto in chiave originale e la sua pittura, di notevole forza espressiva, può incidere sull’immaginario collettivo. Certo, lui è un rotelliano d’ispirazione romantica, ma questo non è un difetto poi così grave